Da Palermo a Torino, l’Italia studentesca (e non solo) si mobilità contro la riforma Gelmini. E mentre sulla riforma della Scuola il governo va ko, per le strade la polizia manganella scontrandosi con gli studenti.
Anche nel nostro capoluogo di provincia gli studenti si fanno sentire: occupate infatti le due facoltà di Scienze della formazione e Scienze della comunicazione e dell’economia dell’Ateneo di Modena e Reggio Emilia.
Questo il comunicato stampa diramato dagli studenti delle due facoltà:
Oltre 3000 tra studentesse e studenti delle due facoltà di Scienze della formazione e Scienze della comunicazione e dell’economia dell’Ateneo di Modena e Reggio Emilia sono coinvolti da oggi nell’occupazione delle due facoltà che hanno sede in viale Allegri a Reggio Emilia.
La decisione è stata presa a seguito di un’assemblea a cui hanno partecipato unitamente studenti, ricercatori e docenti di entrambe le facoltà.
Per coinvolgere la cittadinanza la protesta si articolerà anche in una serie di pacifici presidi in punti strategici della città durante i quali gli studenti renderanno note le motivazioni del dissenso.
I motivi della protesta sono i medesimi che in queste ore vedono impegnati in diverse manifestazioni studenti di vari atenei e istituti superiori. In particolare:
- tagli all’università pubblica, e finanziamenti statali alle università private;
- violazione dell’articolo 3 della Costituzione che garantisce a tutti il diritto inalienabile allo studio;
- cancellazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato, con precarizzazione di fatto del suo ruolo;
- blocco del turn over dei docenti (mancato ricambio);
- rischio di chiusura del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane per l’imposizione di un tetto massimo di docenti e ricercatori pari a 35;
- obbligo di restituzione dei buoni studio anche da parte degli studenti che hanno ottenuto il massimo dei voti.
IL COMITATO ORGANIZZATORE
Per informazioni, sarà possibile contattare i seguenti numeri:
Dott.ssa Rita Bertozzi 3478490339
Dott.ssa Roberta Mineo 3332292581
Roberta Cetro (studentessa) 3498558471Reggio Emilia, 25 novembre 2010
Sono belli gli studenti, bellissimi. Ci piacciono nelle foto festanti e ci piacciono nelle aule, anche quando sono occupate. Perché nelle aule s’insegna, a volte bene, ma quando sono occupate s’impara, a volte molto. E ci piacciono gli studenti anche quando li vediamo stampati sotto ai palazzi del potere a ricordargli che fessi non li fanno, che se ora votano i parlamentari, poi saranno gli studenti a votare. Per tentare di entrare nelle sedi delle (loro) Istituzioni si scontrano con la polizia, perché solo alcune giovani possono entrare scortate e nottetempo. Ci piace vederli, perché abbiamo la sensazione, ogni volta, che la ribellione precedente, sconfitta o no, non è stata l’ultima.
Ci piacciono perché sono la quota generazionale d’indisponibilità al tacito consenso. Perché non c’è stata mai evoluzione sociale che non sia nata da una ribellione e non c’è stata mai una ribellione che non sia nata dagli studenti. Ci piacciono perché sono coloro che non hanno le spalle curve e lo sguardo basso, che cercano di scegliersi la vita, provando a cambiare quello che della loro non gli piace.
La scuola pubblica viene spolpata ogni anno per stornare fondi verso quella privata, in spregio della Costituzione. Privata ormai, infatti, è la spesa destinata dai governi succedutisi negli ultimi 15 anni all’istruzione; di pubblico resta solo la fattura da pagare, tutta in capo alla fiscalità generale, cioè ai contribuenti.
La logica è chiara: la scuola pubblica, responsabile dell’ignominiosa scolarizzazione di massa, é un tipo di retrovirus che permette ad un ragazzo di ceto basso di studiare e formarsi per diventare, forse, un professionista di ceto alto. Uno scandalo inaccettabile.
Perché istruire milioni di giovani quando alle nostre imprese ne servono poche decine di migliaia? E perché, quindi, non lasciarne milioni in abbandono scolastico, sì da ottenere un bell’esercito di riserva con braccia a basso costo, senza così doverle importare da fuori? Cosa c’è di più utile che tenerli lontano dalla cultura, (che fa perdere inesorabilmente copie a Chi e a Novella 2000 e riduce gli ascolti del Grande Fratello) facendo in modo che non possano sognare un reddito, al massimo un salario basso e precario?
La privatizzazione della cultura, come l’azzeramento della scuola pubblica, sono fondamenta strutturali della società divisa in classi. Sono la matita con cui disegnare presente e futuro di un modello che nella guerra al lavoro e all’istruzione, nell’odio verso il sapere critico e collettivo, esprime l’odio verso l’emancipazione sociale, verso la riduzione della voragine tra chi la ricchezza la costruisce e poi ne paga i costi e chi, invece, ci si arricchisce. Bisogna dotarsi dei temperini giusti. Si trovano nelle aule ancora disponibili. (Da un articolo di Fabrizio Casari)
Complimenti al “nuovo” che arriva e cioè il “vecchio”: FINI HA DICHIARATO CHE FLI VOTERA’ A FAVORE DEL DDL SULLA SCUOLA.
Ancora una volta ci si preoccupa più dei soliti tornaconto politici a scapito dell’università e della scuola pubblica in generale.
Un paese senza un’istruzione valida PER TUTTI non ha futuro.